Public Engagement - Attività per i cittadini
Il Gum-Gut Project adotta una strategia di public engagement mirata a sensibilizzare il pubblico sull’importanza del microbioma oro-digestivo e del suo ruolo nella salute generale. La strategia prevede la partecipazione a eventi divulgativi di rilievo, come la Notte Europea dei Ricercatori e conferenze nazionali e internazionali, per condividere i risultati del progetto. Inoltre, il progetto intende collaborare con associazioni di pazienti, come AMICI, che si occupano di malattie infiammatorie intestinali, per integrare la prospettiva dei pazienti e diffondere informazioni mirate. Infine, saranno sviluppati contenuti digitali divulgativi, come video e infografiche, per raggiungere un pubblico ampio attraverso piattaforme online, creando consapevolezza e promuovendo il dialogo tra scienza e società.
Domande e risposte per avere le idee più chiare su questa reale emergenza
Che cosa sono le infezioni nosocomiali?
Sono infezioni acquisite dal paziente già ricoverato, non presenti al momento del ricovero, ma che compaiono ad almeno 48 ore dal suo inizio. In generale, le infezioni rappresentano una delle più comuni complicanze di qualunque tipo di ricovero, e interessano fino al 9% dei pazienti in ospedale.
Quali patogeni causano le infezioni nosocomiali?
Qualunque patogeno può causare queste infezioni, ma sono più comuni infezioni da parte di microrganismi (batteri soprattutto) che abbiano la caratteristica di essere resistenti agli antibiotici di uso più frequente (in ospedale, ma anche al di fuori, nella medicina di base, in agraria o in veterinaria).
Perché si verificano questo tipo di infezioni?
Purtroppo, i pazienti che necessitano di ricovero in ospedale, e in particolare in rianimazione, presentano una serie di condizioni che ne acuiscono la fragilità. Si tratta sia delle patologie che li portano in ospedale, e che si presentano come acute in quel momento, sia delle condizioni di base come l’età, le terapie assunte le patologie pregresse che rappresentano dei fattori di rischio. Così come l’invasività delle cure, come ad esempio interventi chirurgici, l’impiego di dispositivi e/o di terapie specifiche, o la semplice assistenza diretta. Anche l’ambiente ospedaliero contribuisce ad aumentare il rischio: pazienti, operatori, familiari, rappresentano una comunità che interagisce e deve prestare la massima attenzione ad ogni misura di controllo.
Perché la terapia intensiva è a maggior rischio degli altri reparti?
I reparti di terapia intensiva rappresentano il 2-10% del totale dei posti letto in ospedale, ma rendono conto del 25% circa di tutte le infezioni nosocomiali su sangue o apparato respiratorio.
Il rischio di infezione è proporzionale, in primo luogo, all’invasività di cura, cioè a tutti quegli interventi – indispensabili e salvavita – che tuttavia rompono la barriera naturale rappresentata dal nostro corpo agli agenti esterni. Si pensi agli interventi chirurgici, in primis, ma anche a tutti i dispositivi per il supporto delle funzioni vitali: la cateterizzazione venosa e arteriosa, l’intubazione tracheale, la cateterizzazione urinaria, il posizionamento di cateteri di drenaggio, e più in generale tutti gli strumenti invasivi necessari in ogni singolo caso. A questo si aggiunge l’impatto delle terapie antimicrobiche, che possono selezionare patogeni progressivamente resistenti. E soprattutto la necessità di cura dei pazienti critici: i pazienti in terapia intensiva vengono ogni giorno visitati approfonditamente, ma anche accuditi e lavati, perché devono essere vicariati in tutte le loro funzioni vitali, da un numero elevato di operatori, spesso in condizioni di emergenza/urgenza.
In secondo luogo, il rischio di infezione si correla con la capacità dell’organismo del paziente di rispondere alle infezioni, e quindi alla funzionalità del suo sistema immunitario, che in caso di patologie critiche è fortemente compromesso. Questo è vero non solo nei casi di terapie dirette di immunodepressione (ad esempio nei trapiantati), o di immuno-modulazione (ad esempio nei pazienti con un tumore), ma di tutte le condizioni che comportano un ricovero in terapia intensiva.
I patogeni che si possono acquisire in ospedale sono più “cattivi” di quelli “normali”?
I cosiddetti patogeni multiresistenti non sono di per sé più virulenti (cioè aggressivi) di quelli che si acquisiscono fuori dall’ospedale. Salvo alcune eccezioni, in generale, essi sono meno capaci di dare infezioni invasive e gravi in quanto tali. Ma purtroppo il fatto che siano resistenti rappresenta un gravissimo rischio di non riuscire ad impostare precocemente una terapia adeguata, specificamente attiva sul microrganismo che causa l’infezione. È questo il rischio maggiore: che le terapie che si impostano per i patogeni multi-resistenti risultino appunto non efficaci. Per quanto la ricerca sia in costante evoluzione e vi siano antimicrobici di nuova generazione capaci di aggredire anche microrganismi resistenti ai più comuni antibiotici, il loro uso deve essere cauto e oculato, sia per rischi diretti, sia per preservare questa indispensabile opportunità di cura ai casi che davvero ne necessitino.
Che cos’è una colonizzazione? Come si distingue dall’infezione?
La colonizzazione è la presenza di un determinato microrganismo isolato in un campione. Indica la sua presenza sul paziente, in assenza di segni e sintomi, che invece caratterizzano l’infezione.
In rianimazione l’attenzione ai patogeni multiresistenti è molto elevata: vengono eseguiti con cadenza settimanale esami microbiologici su tutti i ricoverati, finalizzati proprio a conoscere eventuali colonizzazioni del paziente. Questo ha due scopi: 1) contenere la colonizzazione, implementando le misure di controllo e limitando in questo modo la sua diffusione; 2. permettere una conoscenza precoci dei patogeni presenti al fine di attivare, in caso di necessità, una tempestiva e specifica terapia.
Che cosa fa il personale sanitario per contenere il rischio di infezioni ospedaliere?
La maggior parte dei fattori di rischio dei pazienti non sono correggibili – ciò che definisce le caratteristiche dell’ospite in sé, non è, infatti, facilmente modificabile, tantomeno durante il ricovero in Terapia Intensiva. Sono invece ottimizzabili tutta una serie di comportamenti clinici che impattano direttamente sull’ambiente di cura. Diagnosi più accurata e rapida; terapia ottimizzata, in termini di antimicrobico, dose, tempo di somministrazione e durata; gestione del paziente attenta e accurata (lavaggio delle mani, dei presidi, rispetto delle procedure adeguate) sono tutti aspetti centrali a cui deve prestare la massima attenzione ogni reparto.
Esiste, inoltre, un vero e proprio team di operatori sanitari di varie specialità (terapia intensiva, infettivologia, microbiologia) che insieme con la Direzione Sanitaria valutano gli interventi più appropriati in termini di formazione, sorveglianza e controllo delle infezioni, ottimizzazione della diagnosi e della terapia, gestione rapida dei casi.
Che cosa possono fare i parenti dei pazienti ospedalizzati per contenere il rischio di infezioni ospedaliere?
In maniera diretta, aderire in maniera scrupolosa e attenta a tutte le misure che vengono di volta in volta indicate dal personale di reparto (dalla disinfezione delle mani, ad indossare e rimuovere correttamente i dispositivi di protezione).
In maniera indiretta, come cittadini, favorire un uso consapevole e motivato degli antibiotici, solo quando necessari, solo dietro prescrizione medica.
Che cosa si intende per precauzioni da contatto?
Sono le misure utili ad evitare che un patogeno possa passare da un ambiente all’altro, da un operatore/visitatore all’altro, da un paziente all’altro. Comprendono l’accurata disinfezione delle mani, l’uso di guanti e camice monouso.
Sepsi: che cos’è
La sepsi è una complicazione di una infezione, con conseguenze gravi e potenzialmente mortali. Consiste in una risposta dis-regolata, cioè anomala, dell’organismo colpito dall’infezione: l’infiammazione che consegue alla diffusione dell’infezione è troppo marcata, o viceversa insufficiente, e provoca a propria volta un danno grave e progressivo di tessuti e organi, che vengono compromessi.
Senza una immediata presa in carico la sepsi può causare l’evoluzione in shock settico: l’infezione è disseminata in tutto l’organismo, il danno degli organi è sempre più evidente e difficile da contrastare. Lo shock settico ha una mortalità estremamente elevata, e un rischio di danni permanenti anche nel caso in cui il paziente sopravviva.
Il primo passo verso lo sviluppo della sepsi è il passaggio nel sangue dei microrganismi che hanno causato l'infezione (una volta indicato con il termine di “setticemia”). In seguito, l'infezione si diffonde a tutto l'organismo ed è definita sistemica.
La risposta infiammatoria generalizzata danneggia organi e tessuti e ostacola il flusso sanguigno in tutti i distretti corporei. La riduzione, o l'interruzione, del flusso sanguigno impedisce all'ossigeno di raggiungere i diversi organi e tessuti, provocando ulteriori danni con conseguenze spesso mortali.
La sepsi può colpire chiunque abbia contratto un'infezione, e non vi è un modo “preventivo” per capire quali infezioni potrebbero evolvere in sepsi. Esistono però categorie a maggior rischio (vedi oltre).
In condizioni normali, il sistema immunitario – deputato alla difesa dell’organismo - mantiene l'infezione circoscritta alla zona del corpo in cui ha avuto origine (infezione localizzata). Al netto dei fattori di rischio dettagliati, il processo di evoluzione in sepsi è uno degli argomenti più studiati, poiché molti aspetti sono ancora da comprendere. Infatti, anche soggetti senza fattori di rischio possono andare incontro a sepsi e shock settico.
Se il sistema immunitario è indebolito, o l'infezione è particolarmente grave, quest'ultima può diffondersi attraverso il sangue ad altre parti del corpo, stimolando eccessivamente il sistema immunitario. Il risultato finale è l'estensione dell’infezione all'intero organismo, vale a dire un’infezione generalizzata, accompagnata da una risposta infiammatoria abnorme che provoca molti più problemi della stessa infezione.
Oltre ai sintomi dell’infezione causale, la sepsi è caratterizzata da una rapida riduzione della pressione arteriosa a causa dell’insufficienza del sistema cardio-circolatorio. Tutti i sintomi conseguenti derivano da una ipoperfusione – cioè un insufficiente afflusso di sangue ed ossigeno ai tessuti del corpo.
Sintomi di gravità possono essere rappresentati ad esempio da:
- alterazioni della cute, in particolare:
o marezzatura cutanea: la cute si presenza fredda, compaiono chiazze brunastre sparse, in particolare sugli arti;
o petecchie: piccole lesioni puntiformi, rossastre, che si diffondono progressivamente;
- riduzione della quantità della diuresi, sino alla sua assenza;
- compromissione neurologica: il paziente può essere progressivamente meno lucido, avere allucinazioni, o un comportamento anomalo rispetto al solito.
La sepsi necessita di un immediato accesso in ospedale e di una gestione rapida ed efficace.
Ogni individuo può sviluppare la sepsi dopo aver contratto un'infezione, anche di lieve entità.
La probabilità è maggiore in tutte le condizioni di compromissione o minore efficace del sistema immunitario, quali ad esempio:
- età estreme della vita: neonati, bambini, anziani;
- gravidanza e periodo post-partum;
- malattie o terapie immunodeprimenti: tumori, malattie reumatologiche, autoimmuni; chemioterapie, utilizzo di terapie prolungate con cortisone;
- malattie croniche come il diabete;
- utilizzo di dispositivi medici invasivi, come cateteri e drenaggi, o interventi chirurgici
- Pregressa asportazione della milza;
- Traumi.
Il rischio di sviluppare la sepsi è particolarmente elevato nelle persone ricoverate in ospedale per gravi malattie. Le infezioni batteriche che possono essere contratte in ospedale sono ulteriormente pericolose, poiché spesso provocate da batteri diventati resistenti alle terapie antibiotiche di uso comune.
La sepsi è causata da una infezione, che può avere origine da ogni parte del corpo; il passaggio dei microrganismi responsabili nel sangue la rende disseminata, cioè diffusa a tutto l'organismo (infezione generalizzata o sistemica). In genere, è provocata da batteri, ma anche funghi, virus e parassiti la possono causare.
Tra le fonti d'infezione, le più frequenti sono
- Infezioni respiratorie (es. polmonite)
- Infezioni addominali (es. appendicite, peritonite, colecistite)
- Infezioni del sistema nervoso centrale (meningiti, encefaliti)
- Infezioni delle vie urinarie
- Infezioni della cute e dei tessuti, o delle ossa
- Infezioni cardiache (es. endocardite)
- Inoltre, una infezione può derivare da un catetere venoso utilizzato per la somministrazione di terapie, o da
- una ferita in caso di intervento chirurgico.
A volte, l'infezione che ha portato alla sepsi rimane sconosciuta.
L’unica vera misura di prevenzione della sepsi è ridurre il rischio di contrarre infezioni.
In termini generali, corrette abitudini di vita – igieniche, alimentari, di movimento ed evitamento di comportamenti a rischio – favoriscono la funzionalità del sistema immunitario.
Inoltre, un ruolo essenziale è svolto dalle vaccinazioni, non solo in età pediatrica, ma anche dell’adulto, soprattutto se con condizioni di fragilità del sistema immunitario. Ad esempio, sono disponibili vaccini per alcuni batteri particolarmente aggressivi, quali Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis, Haemophilus influenzae b. Una attiva informazione in questo senso deve essere richiesta al proprio Medico di Fiducia.
La valutazione medica precoce in caso di infezioni che presentino potenziali condizioni di allerta è fondamentale. In questo senso, l’utilizzo oculato di antimicrobici consente la cura diretta di infezioni limitandone il rischio di evoluzione.
Progetto di Public Engagement finanziato dal Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università di Torino - a cura della Prof.ssa Maria Grazia Piancino
Brochure del Progetto “L’intelligenza vien masticando”
L’importanza della masticazione spiegata alle mamme.
Il progetto intitolato “L’intelligenza vien masticando”, basato su recenti risultati della ricerca internazionale, è stato realizzato grazie al finanziamento del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università di Torino che ha consentito la collaborazione di esperti della comunicazione per spiegare l’importanza della masticazione agli educatori: mamme, papà, nonni e insegnanti.
Il messaggio che si vuole trasmettere, supportato dai risultati scientifici, è che la masticazione intesa come attività neuromuscolare, ovvero attivazione dei muscoli masticatori, ha la capacità di stimolare la formazione di nuovi neuroni nelle aree del cervello dedicate alla memoria e all’attività cognitiva e intellettiva sia durante l’invecchiamento che in fase di sviluppo. I dentisti sanno da tempo che i soggetti anziani con dentatura naturale preservata vanno incontro all’inevitabile decadimento cognitivo molto più lentamente dei soggetti edentuli o con pochi elementi dentari. Oggi sappiamo che questo è legato all’attivazione dei muscoli masticatori e che, ciò che conta, è preservare la capacità masticatoria anche con una valida sostituzione protesica.
Il fatto di aumentare il numero di neuroni e di sinapsi (contatti tra neuroni) è certamente importante per un invecchiamento in salute, ma, nel bambino, fa la differenza in modo molto evidente e, a fine crescita, irreversibile. Purtroppo l’evoluzione dell’industria alimentare offre al mercato cibi sempre più molli e la scarsa consistenza degli alimenti determina un’attivazione dei muscoli masticatori del bambino molto limitata. Le conseguenze delle insufficienti forze della masticazione sono duplici:
- Mancato stimolo alla crescita delle ossa mascellari superiori e inferiori, che portano i denti sia sopra che sotto, e che hanno bisogno delle forze della masticazione per crescere. Quindi un’alimentazione molle è responsabile del limitato sostegno osseo ai denti che, di conseguenza, si affollano, diventano storti e non funzionano più in modo adeguato.
- Inoltre, oggi sappiamo, che la carenza di masticazione determina una ridotta formazione di nuovi neuroni nel cervello del bambino, molto più scarsa rispetto a una masticazione adeguata con alimenti consistenti.
Questo non vuol dire che non possiamo più mangiare gli alimenti che tanto piacciono, ma dobbiamo sapere che abbiamo bisogno di alimenti consistenti, soprattutto in crescita, che è il periodo più sensibile a questi fattori. Per questo è consigliabile abituare il bambino alla masticazione di alimenti come le carote o i finocchi crudi, il pane, le mele ecc. fin dai primi anni di età. Infatti lo stimolo alla formazione di una maggiore quantità di neuroni consentirà al bambino di esprimere in pieno le sue potenzialità cognitive che altrimenti rimarranno limitate. Il naturale potenziamento intellettivo e della memoria conseguente a una masticazione adeguata, migliora il rendimento scolastico, l’autostima, il benessere e la qualità della vita del bambino e della sua famiglia.
Un ultimo importante argomento in questo ambito, riguarda il “raddrizzamento dei denti” che, durante la crescita, deve essere realizzato allo scopo di riequilibrare la funzione masticatoria. La malocclusione che, più di tutte, altera la masticazione è senz’altro il morso incrociato posteriore che ha la caratteristica di autopeggiorare nel tempo e di squilibrare la masticazione in modo irreversibile a fine crescita. Per questa ragione più presto si corregge, più presto il bambino potrà crescere e masticare in modo armonico. Ovvero deve essere corretto il più precocemente possibile, ma con apparecchiature non traumatiche e rispettose della funzione masticatoria e delle strutture. A questo proposito, presso il reparto di Ortognatodonzia della Dental School dell’Università di Torino, sono state messe a punto le apparecchiature funzionalizzanti che sono state scientificamente dimostrate essere in grado di raddrizzare i denti e, contemporaneamente, riequilibrare la masticazione. Il bambino le attiva con i suoi muscoli durante la deglutizione, sviluppando forze fisiologiche adatte alla crescita dei mascellari. Queste apparecchiature hanno la capacità, non solo di raddrizzare i denti, ma di riequilibrare la funzione masticatoria, vero scopo di qualsiasi terapia ortognatodontica precoce.
Il progetto intitolato “Bambini schizzinosi”, è stato realizzato grazie al finanziamento del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università di Torino e consente di spiegare ai genitori, educatori, insegnanti ed a tutte le figure di riferimento per il bimbo quanto la componente di “selettività alimentare” possa influenzare, oltre uno squilibrio muscolo oro-faciale, anche il funzionamento sociale e le relazioni familiari, in particolare nella fascia di età tra i 3 ed i 6 anni. La ricerca è stata svolta da una studentessa del Corso di Studio in Logopedia nel suo lavoro di Tesi di Laurea con il supporto di logopedisti esperti in questo ambito ed attraverso una accurata ricerca bibliografica di risultati scientifici.
La funzione alimentare sostiene la crescita dell’individuo, in particolare nello sviluppo osteo-muscolare oro-facciale e nella maturazione di funzioni orali fondamentali quali respirazione, deglutizione, masticazione e articolazione verbale. Allo stesso tempo, l’alimentazione rappresenta un momento di scambio con il mondo esterno, attribuita auspicabilmente ad un’esperienza positiva e piacevole per il bambino.
La funzione alimentare si sviluppa attraverso tappe specifiche, ma come per tutte le funzioni evolutive ciascun bambino, pur rientrando nello sviluppo fisiologico, ha tempi e modi leggermente diversi. Questo può dipendere da numerose variabili, come un adeguato sviluppo del sistema nervoso centrale e periferico, una crescita adeguata delle strutture anatomo-funzionali deputate alla masticazione ed alla deglutizione, un ambiente sociale che esponga il bambino ad un maggior numero di esperienze ed anche, per esempio, alla scelta di eventuali ausili per l’alimentazione quali tettarella o beccuccio, biberon, cucchiaini, tazze, succhietti. A partire dalla nascita il bambino impara la maggior parte delle abilità attraverso feedback per tentativi ed errori. In questo ambito il momento del pasto risulta essere estremamente importante per sviluppare gli apprendimenti attraverso un’esperienza diretta e positiva con i diversi stimoli alimentari quali il profumo ed il gusto dell’alimento, la tessitura dei cibi, le sensazioni associate agli utensili necessari per mangiare, la vicinanza sociale dell’adulto e l’ambiente circostante. Per questo motivo, rispettando i tempi fisiologici, gli alimenti vanno riproposti più volte: i bambini devono testare i cibi dalle 5 alle 10 volte prima di accettarli. All’inizio il bambino deve poter esplorare i nuovi alimenti con la bocca e le mani, anche attraverso una modalità di gioco; egli deve poter sporcarsi con il cibo poiché gli permette di regolare la sua sensibilità, altrimenti il rischio è quello di diventare un “bambino schizzinoso” o con una “alimentazione selettiva”.
Per “alimentazione selettiva” si intende una serie di attività che ruotano attorno al momento del pasto quali rifiuto del cibo, selettività dei cibi accettati dal bambino (per aspetto, colore, odore, consistenza, gusto e temperatura), distrazione mentre mangia, scarso interesse per il cibo, consumo del pasto con grande lentezza e raggiungimento della sazietà precoce, assunzione di alcuni alimenti solamente se “nascosti” all’interno di cibi o bevande preferiti.
Tutti questi comportamenti tipici possono avere possibili conseguenze sulla salute del bambino quali:
- squilibrio Muscolare Oro-facciale
- alterato sviluppo alimentare (problemi di deglutizione e di masticazione)
- disturbo dell’articolazione del linguaggio
- disturbo della condotta alimentare
- perdita di peso, deficit di crescita, carenze nutrizionali
- ripercussioni sulla sfera psicosociale.
La popolazione pediatrica affetta da disordini dell’alimentazione è molteplice e l’incidenza è del 25-45% in bambini con sviluppo tipico in età prescolare.
Spesso associata alla “alimentazione selettiva” è “l’iperprotezione buccale”, un quadro di carenza di stimolazione e/o di esperienze che spesso fa parte di una condizione di
iperprotezione generale. Si osservano bambini che in generale a livello alimentare si limitano a scegliere strettamente alimenti noti e/o facili da mangiare, escludendo, in particolare, quelli caratterizzati da consistenze cosiddette “difficili”, indispensabili per ottenere masticazione e deglutizione evolute. In questo senso, la funzione di masticazione non è un aspetto da sottovalutare, poiché essa incide fortemente sulla salute dei denti, sull’efficacia della deglutizione e sull’occlusione dentale. I tratti caratterizzanti di questo quadro consistono nella predilezione per l’alimentazione liquida, semiliquida e semisolida a discapito di quella solida, che sovente viene frullata o omogenizzata in modo tale da non richiedere fatica masticatoria. Conseguentemente, oltre a scarso o nullo allenamento della muscolatura masticatoria, come precedentemente accennato, tali abitudini portano anche ad incompetenza nell’azione di addentare o leccare, situazioni di beanza buccale e interposizione dentale della lingua durante l’atto di nutrizione, scorretto uso o rifiuto nell’uso di posate, incapacità ad ingerire pillole, impaccio nel selezionare ciò che va ingerito da quel che va rifiutato.
In caso di competenze non ancora apprese, il bambino potrà necessitare di strategie di
formazione e maggiore pratica. L’eventuale mancata o ridotta esperienza della funzione alimentare nel periodo critico può evidenziare negli anni successivi problemi come alimentazione selettiva, tempi del pasto allungati e dinamiche comportamentali alterate al momento del pasto.
Alcuni consigli pratici a tavola per chi mangia con il bambino sono ad esempio:
- Mangiare una certa varietà di cibo e soprattutto diverse consistenze anche solide (ad esempio carote, finocchi crudi, pane, mele)
- Non concedere troppe distrazioni durante i pasti (televisione, giocattoli)
- Presentare al bambino nuovi alimenti nel piatto in maniera invitante.
Altre indicazioni ed altri consigli si possono trovare all’interno della brochure dal titolo “Bambini Schizzinosi”.
Il progetto intitolato “Ciuccio, dito e biberon: amici o nemici?” è stato realizzato grazie al finanziamento del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università di Torino e consente di spiegare alle figure di riferimento dei bambini, in particolare ai genitori, le conseguenze anatomo-funzionali di alcune “abitudini viziate”, sul sistema stomatognatico e non solo. La ricerca è stata svolta da una studentessa del Corso di Studio in Logopedia nel suo lavoro di Tesi di Laurea grazie al quale, dopo una accurata ricerca delle evidenze scientifiche presenti in letteratura ed una analisi delle “abitudini viziate” più frequenti, è stato realizzato un opuscolo informativo rivolto alle famiglie con l’obiettivo di trasmettere, anche in ottica preventiva, le informazioni più utili ad un approccio consapevole al tema dei vizi orali nei bambini.
Le abitudini orali (il succhiamento del dito, della lingua, del ciuccio e l’utilizzo del biberon) sono comportamenti frequenti nei bambini e fino a una certa età sono considerati del tutto fisiologici, poiché dovuti alla naturale ricerca delle sensazioni piacevoli che si sperimentano attraverso la bocca. Grazie al succhiamento, oltre a tranquillizzarsi e confortarsi, il bambino piccolo sviluppa le proprie abilità orali.
Tuttavia, è raccomandato che l’atto della suzione non si protragga oltre i 3 anni di età poiché, diversamente, è considerato uno dei maggiori fattori di rischio per la comparsa di squilibri muscolari oro-facciali. In letteratura, infatti, vengono descritte in modo dettagliato le conseguenze anatomo-funzionali che il mancato abbandono di tale comportamento comporta sull’apparato stomatognatico.
Si definiscono “abitudini viziate” quelle alterazioni comportamentali a livello del cavo
orale che possono determinare una modificazione sia funzionale, sia morfologica.
Tale termine ci riporta a comportamenti che, generalmente, si manifestano nella prima infanzia come “abitudini” ma che, persistendo nel tempo, diventano “viziate” e degenerano in comportamenti scorretti ricorrenti, messi in atto dalla bocca, che possono avere conseguenze quali:
- Malocclusioni dentali
- Incompetenza labiale
- Deformazioni del palato
- Deglutizioni disfunzionali
- Difficoltà articolatorie
- Respirazione orale
Il succhiamento del dito protratto nel tempo dà conforto al bambino ed è sempre disponibile, ma è di ostacolo ad una corretta esplorazione orale, blocca la lingua in una posizione bassa e protrusa impedendone i movimenti, può causare la comparsa di morso aperto con eccessiva sporgenza degli incisivi superiori e conseguente tendenza della lingua a posizionarsi tra i denti a riposo, durante la deglutizione e nell’articolazione di fonemi quali t, d, s e z.
Il biberon è comodo per chi nutre il bambino e ricorda al bimbo l’allattamento al seno, ma anch’esso, se protratto, non consente un adeguato sviluppo muscolare e spesso è associato a beanza muscolare e respirazione orale, facilitando la permanenza di uno schema di deglutizione infantile.
Il ciuccio conforta e rassicura il bambino, stimola la muscolatura periorale e le abilità di suzione nei bambini prematuri. Inoltre sembra prevenire le “SIDS”, note come “morti in culla” nei neonati. Per contro un utilizzo prolungato del ciuccio può deformare il palato rendendolo stretto e profondo, determinare la permanenza di uno schema deglutitorio infantile, provocare problemi nell’articolazione di alcuni fonemi, determinare ipotonia della muscolatura masticatoria e incompetenza labiale a riposo contribuendo alla stabilizzazione di uno schema respiratorio orale.
La gravità delle conseguenze delle abitudini viziate dipende dall’intensità e dalla frequenza del succhiamento, oltre che da predisposizioni individuali.
Il Ministero della Sanità raccomanda di disincentivare la suzione dai 2 anni di età e di interromperla del tutto entro i tre anni. In caso di alterazione delle funzioni orali il professionista a cui rivolgersi è il logopedista; tuttavia il breve opuscolo informativo, rappresenta una mini-guida in grado di trasmettere consigli e spunti a chi ne usufruisce riassumendo in un linguaggio semplice, chiaro e adatto ai non esperti ciò che c’è da sapere sulle abitudini viziate orali. I destinatari scelti sono i genitori, principali caregiver dei bambini, e le famiglie in generale, ma le informazioni contenute sono adatte a tutti. In particolare, trattando temi di prevenzione, di individuazione precoce e di gestione ed estinzione di tali comportamenti, il contenuto è stato pensato anche per le insegnanti dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia, luoghi fondamentali dove fare prevenzione.
Sebbene appaia complicato dare indicazioni che siano valide per tutti si è cercato di racchiudere alcune tecniche e consigli quali:
- utilizzare tecniche di rinforzo positivo premiando il bimbo quando non mette in atto comportamenti di suzione;
- stabilire regole condivise relative a quando e dove è consentito utilizzare il ciuccio (ad esempio prima della nanna ma non quando gioca o parla);
- abbandonare il succhietto affinché la fata o l’elfo del ciuccio possa prenderlo di notte e consegnarlo a un bambino appena nato lasciando in cambio un regalo gradito al bambino;
- utilizzare il proprio ciuccio per pagare un gioco in un negozio, al fine di fornire al bambino un ricordo tangibile della sua forza di volontà.
In conclusione la prevenzione dei disturbi oro-facciali basata sull’intercettazione precoce di comportamenti “viziati” prima che si stabilizzino è da considerarsi come uno dei maggiori obiettivi per garantire lo sviluppo di un sano equilibrio tra le strutture del sistema stomatognatico, nonché una migliore qualità di vita, ed è pertanto utile seguire i consigli e le indicazioni della brochure “Ciuccio, dito e biberon: amici o nemici?”.
- L’intelligenza vien masticando - Save the Date!
- Il Paradiso a Giaveno: quando l’ospedale pediatrico Koelliker fu sfollato a Giaveno 1941-1945 - Save the Date!
La radiologia interventistica ha da sempre l’obiettivo di curare una vasta gamma di patologie attraverso approcci mini-invasivi guidati dalle immagini radiologiche. Oggi, questo è ancora più evidente grazie alla possibilità di trattare il dolore cronico articolare spegnendo l’infiammazione per via endovascolare. Inoltre, la radiologia interventistica consente di trattare con successo tumori altrimenti inoperabili mediante un ago in grado di "bruciare" il nodulo, permettendo al paziente di essere dimesso quasi sempre dopo una sola notte di degenza e senza compromettere la qualità della vita.